È bastato un nome su un menu (𝑵𝒆𝒈𝒓𝒐𝒏𝒊) a far scoppiare una discussione animata in un bar del centro di Pordenone, sfiorando la rissa tra un gruppo di giovani stranieri e altri clienti, prima che l’intervento tempestivo della barista riportasse la calma. Il motivo? Il nome del celebre cocktail sarebbe stato ritenuto “razzista”.
Episodi come questo lasciano sgomenti non solo per la fragilità culturale su cui si fondano, ma per i danni collaterali che generano. Perché se è giusto (e doveroso) interrogarsi sul linguaggio, sulle sue implicazioni storiche e sull’impatto sociale delle parole, è altrettanto essenziale NON trasformare ogni termine in un pretesto per l’indignazione automatica e immotivata.
𝑰𝒍 𝒇𝒓𝒂𝒊𝒏𝒕𝒆𝒏𝒅𝒊𝒎𝒆𝒏𝒕𝒐 𝒄𝒖𝒍𝒕𝒖𝒓𝒂𝒍𝒆 (𝒒𝒖𝒂𝒏𝒅𝒐 𝒍'𝒊𝒈𝒏𝒐𝒓𝒂𝒏𝒛𝒂, 𝒍𝒂 𝒑𝒓𝒐𝒕𝒆𝒓𝒗𝒊𝒂 𝒆 𝒍'𝒊𝒅𝒊𝒐𝒛𝒊𝒂 𝒔𝒖𝒑𝒆𝒓𝒂 𝒐𝒈𝒏𝒊 𝒍𝒊𝒎𝒊𝒕𝒆)
Il Negroni è un cocktail inventato a Firenze nei primi del Novecento, che prende il nome dal conte Camillo Negroni, il quale chiese di rafforzare il suo Americano con una dose di gin. Nessun riferimento etnico, nessuna allusione razzista. Solo un cognome, esattamente come Martini, Bellini o Rossini. Confondere il nome con un’offesa razziale rivela un’ignoranza pericolosa: quella che nasce da una sensibilità superficiale, sganciata dalla conoscenza dei contesti.
𝑰𝒍 𝒑𝒂𝒓𝒂𝒅𝒐𝒔𝒔𝒐 𝒅𝒆𝒍𝒍’𝒂𝒕𝒕𝒊𝒗𝒊𝒔𝒎𝒐 𝒄𝒊𝒆𝒄𝒐
In un’epoca in cui si cerca (giustamente) di smantellare linguaggi violenti, discriminatori o stereotipati, queste battaglie fuori fuoco finiscono per indebolire il lavoro serio e necessario di chi si occupa davvero di inclusività, rispetto e dialogo interculturale. Quando tutto è offensivo, nulla lo è davvero: il senso critico si appiattisce, e la vera lotta contro il razzismo perde forza e credibilità.
𝑪𝒖𝒍𝒕𝒖𝒓𝒂 𝒏𝒐𝒏 𝒆̀ 𝒄𝒆𝒏𝒔𝒖𝒓𝒂
Il compito della cultura è illuminare, non cancellare. Comprendere la storia di un nome, di un piatto, di un’opera, vuol dire riconoscere la complessità e accettare che il significato delle parole cambia in base al contesto, non alla sola percezione soggettiva. Educare al linguaggio non vuol dire sterilizzarlo, ma imparare a leggerlo con intelligenza.
𝑻𝒐𝒓𝒏𝒂𝒓𝒆 𝒂𝒍 𝒃𝒖𝒐𝒏 𝒔𝒆𝒏𝒔𝒐
Serve, oggi più che mai, un ritorno al buon senso. Non per sottovalutare la potenza delle parole, ma per evitare che la lotta alla discriminazione si trasformi in una caccia alle streghe. Le vere rivoluzioni culturali non si fanno censurando un Negroni dal menu, ma costruendo una società in cui le parole (tutte) vengano comprese, contestualizzate e usate con consapevolezza.
𝑳𝒖𝒊𝒔𝒂 𝑪𝒂𝒔𝒂𝒈𝒓𝒂𝒏𝒅𝒆 | 𝑩𝒖𝒔𝒊𝒏𝒆𝒔𝒔 𝑬𝒙𝒆𝒄𝒖𝒕𝒊𝒗𝒆 | 𝑫𝒆𝒗𝒆𝒍𝒐𝒑𝒎𝒆𝒏𝒕𝒂𝒍 𝑺𝒆𝒏𝒊𝒐𝒓 𝑴𝒆𝒏𝒕𝒐𝒓 | 𝑻𝒆𝒆𝒏 𝑴𝒊𝒏𝒅𝒔𝒆𝒕 𝑪𝒐𝒂𝒄𝒉 | 𝑫𝒊𝒗𝒆𝒓𝒔𝒊𝒕𝒚 𝑻𝒓𝒂𝒊𝒏𝒆𝒓 | Autrice di “𝗘𝗱𝘂𝗰𝗮𝗿𝗲 𝗹’𝗶𝗱𝗲𝗻𝘁𝗶𝘁𝗮̀ 𝗰𝘂𝗹𝘁𝘂𝗿𝗮𝗹𝗲 – 𝗨𝗻𝗮 𝗴𝘂𝗶𝗱𝗮 𝗽𝗲𝗿 𝗰𝗿𝗲𝘀𝗰𝗲𝗿𝗲 𝗰𝗼𝗻𝘀𝗮𝗽𝗲𝘃𝗼𝗹𝗶 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗲 𝗽𝗿𝗼𝗽𝗿𝗶𝗲 𝗰𝘂𝗹𝘁𝘂𝗿𝗲 𝗲 𝘁𝗿𝗮𝗱𝗶𝘇𝗶𝗼𝗻𝗶”